4 maggio 1954: scoppia il grisou nel Pozzo Camorra. 43 vite spezzate e con esse quelle delle loro famiglie.
Nelle immagini qui riproposte è palpabile l’angoscia sul volto delle donne che accorrono al Pozzo Camorra e aspettano di conoscere la sorte dei loro padri, fratelli e mariti; il nero del carbone che incornicia i volti dei minatori accorsi a prestare aiuto ai colleghi imprigionati nelle viscere della terra; le bare allineate nel Cinema della Montecatini, abbracciate dai parenti distrutti dal dolore; la marea di uomini e donne accorsa ai funerali, presenziati da Di Vittorio… Sono tutte immagini diventate icone della tragedia che sconvolse Ribolla nel maggio 1954. Lo sono per due ordini di motivi: per il frequente uso che se ne è fatto nel corso degli anni e per la loro potenza espressiva ed evocativa, tanto da essere diventate la memoria visiva e collettiva della tragedia.
Subito dopo il disastro e nei giorni seguenti Ribolla assistette a una memorabile gara di solidarietà in favore delle famiglie delle vittime; in particolare le donne, dell’Associazione e non, si mobilitarono per cercare di alleviare le sofferenze dei familiari. Molti di loro provenivano da località distanti da Ribolla, furono ospitati nelle case del villaggio, fu dato loro conforto morale e materiale.
Il sostegno alle famiglie delle vittime, e in particolare alle cosiddette “vedove della Montecatini” si concretizzò anche nei mesi successivi attraverso raccolte di fondi. Un nuovo e più arduo compito si palesò fin dagli istanti successivi al disastro: rendere inefficace l’opera di convincimento della Società Montecatini per far firmare ai familiari la rinuncia a costituirsi parte civile nel processo che inevitabilmente la coinvolse.
Nelle immagini qui riproposte è palpabile l’angoscia sul volto delle donne che accorrono al Pozzo Camorra e aspettano di conoscere la sorte dei loro padri, fratelli e mariti; il nero del carbone che incornicia i volti dei minatori accorsi a prestare aiuto ai colleghi imprigionati nelle viscere della terra; le bare allineate nel Cinema della Montecatini, abbracciate dai parenti distrutti dal dolore; la marea di uomini e donne accorsa ai funerali, presenziati da Di Vittorio… Sono tutte immagini diventate icone della tragedia che sconvolse Ribolla nel maggio 1954. Lo sono per due ordini di motivi: per il frequente uso che se ne è fatto nel corso degli anni e per la loro potenza espressiva ed evocativa, tanto da essere diventate la memoria visiva e collettiva della tragedia.
Subito dopo il disastro e nei giorni seguenti Ribolla assistette a una memorabile gara di solidarietà in favore delle famiglie delle vittime; in particolare le donne, dell’Associazione e non, si mobilitarono per cercare di alleviare le sofferenze dei familiari. Molti di loro provenivano da località distanti da Ribolla, furono ospitati nelle case del villaggio, fu dato loro conforto morale e materiale.
Il sostegno alle famiglie delle vittime, e in particolare alle cosiddette “vedove della Montecatini” si concretizzò anche nei mesi successivi attraverso raccolte di fondi. Un nuovo e più arduo compito si palesò fin dagli istanti successivi al disastro: rendere inefficace l’opera di convincimento della Società Montecatini per far firmare ai familiari la rinuncia a costituirsi parte civile nel processo che inevitabilmente la coinvolse.
La settimana Incom 01092 del 07/05/1954
[Istituto Luce Cinecittà] |
…nel maggio del 1954, sulle coste della Maremma, si svolgevano le manovre di sbarco della NATO, che andarono sotto il nome di “Italic Sky”: perciò i giornalisti dei maggiori quotidiani italiani erano nella zona e furono subito spostati a Ribolla dai loro direttori; ebbero quindi modo di seguire giorno per giorno le fasi esterne della sciagura, dall’esplosione ai funerali. Si può dire che non vi fu quotidiano o periodico italiano che non dedicasse in quei giorni ampio spazio alla tragedia di Ribolla .
[L. Bianciardi, C. Cassola, I minatori della Maremma, Laterza, Bari 1956, pp. 157] |
[Archivio Ronconi]
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…quelli di casa non mi volevano dire niente sul primo. Poi cominciarono a venire la gente dei paesi. La gente dei paesi sapevano poi che…in genere la mi’casa era frequentata anche da persone del partito. Incominciarono a venire dai paesi e venivano lì…la mi’casa è stata un po’ l’ospite di tutti; c’è stata Nilde Iotti a mangiare… Quando veniva qualcuno del partito che venivano su, in genere li mandavano sempre a mangiare a casa mia. Dicevano “ti si mandano da te”; “o mandateli da me!”. Veniva Bracalari, l’onorevole Tognoni, insomma veniva tutta questa gente…[…] Erano sempre ospiti a casa mia. Allora incominciarono, questa gente a venire giù, che aveva sentito nei paesi…e allora me lo dissero. Perché oltretutto c’avevo una cugina che appena seppe della nascita del mi’bimbo venne subito di corsa; mi disse “or vado via e poi ritorno”…e poi invece, poretta, gli c’era morto il marito! Lei ancora quando venne da me non lo sapeva. Dopo che era scoppiato questo gas… Io dicevo “o come mai non viene più? O come mai non ritorna”…
[Intervista a Milena Testi, 22 .11.2002] |
Quando torno in paese si è scatenata l’onda del terrore, e le donne son scese in strada, così come si trovavano, con quattro stracci addosso: urlano davanti alla saracinesca abbassata del garage, dove trasportano i cadaveri, man mano che li trovano.
[L. Bianciardi, Ira e lacrime a Ribolla, in: Il Contemporaneo, 15 maggio 1954] |
[Archivio Ronconi]
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[Archivio Ronconi]
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Ai pozzi si giunge per un viottolo tortuoso e pieno di fango, che a tratti traversa un campo di grano, e poi costeggia i binari dei decauville, i mucchi di detriti della miniera, dominati dalle alte impalcature scure degli ascensori. Questo è il “Raffo”, ad un chilometro in linea d’aria si vede il “Camorra”. Qui si lavora febbrilmente: vibrano le corde d’acciaio, ronzando, calano giù legname da armatura, tubi di reazione, ed uomini. La gente sta a guardare in silenzio, un gruppo di donne, in piedi su di un greppo, attende.
[L. Bianciardi, Ira e lacrime a Ribolla, in: Il Contemporaneo, 15 maggio 1954] |
Si corse giù al pozzo per vedé di sapé. Io, magari, subito subito non me lo dissero dato che allattavo anche - poi m’andò via anche il latte. Non è che me lo dissero subito però dato che c’era lui, c’era un altro cognato, insomma, ecco…si corse subito giù al pozzo ma, che vuole, entrà, avvicinassi, non c’era tanto da avvicinassi perché poi non sapevano manco loro come era… Si incominciò a aspettà e piano piano… Venne il mi’poro babbo, mi ricordo, e mi disse “No, guarda, Giovanni (Giovanni Campolongo, il marito, ndr.) l’ho visto io…
[Intervista a Silvana Bonelli, 03.02.03] |
[Foto del video: Archivio Ronconi]
la voce è di Silvana Bonelli (intervista del 03.02.2003) |
[Archivio Banchi]
Essendo i bambini a scuola e gli uomini a lavoro o a riposarsi in attesa di entrare nel turno successivo, si osservava soprattutto una corsa smarrita ed affannosa, di donne, che in grembiule e ciabatte si indirizzavano verso il luogo dell’esplosione. Sapevano che il grisou era molto pericoloso, pertanto cercavano di arrivare presto, per sapere, per vedere, per aiutare, nella speranza che il loro marito, il figlio o qualche altro parente non fosse rimasto coinvolto nella disgrazia.
Nella scuola alcuni ragazzi, figli di minatori della “gita” di giorno, vennero gradualmente prelevati dalle aule e riportati a casa dai parenti. Non era chiaro cosa stesse accadendo agli occhi di bimbi che in età massima di dieci, undici anni erano troppo giovani per ricordare la precedente sciagura mineraria.
[E. Giacomelli, G. Giulianelli, Il cuore “nero” della Maremma, 1986]
Nella scuola alcuni ragazzi, figli di minatori della “gita” di giorno, vennero gradualmente prelevati dalle aule e riportati a casa dai parenti. Non era chiaro cosa stesse accadendo agli occhi di bimbi che in età massima di dieci, undici anni erano troppo giovani per ricordare la precedente sciagura mineraria.
[E. Giacomelli, G. Giulianelli, Il cuore “nero” della Maremma, 1986]
Foto del video in Archivio Ronconi
La voce è di Erino Pippi (intervista del 18.012003) |
Cominciarono ad arrivare i parenti dalla Sicilia, dalla Calabria, dalle Marche, dalla Sardegna, perché c’erano i minatori morti che erano venuti da quelle regioni. Le donne siciliane, le donne calabresi, con i loro modi di fare di fronte alla morte… noi non ci siamo abituati… vedesse che tragedie, vedesse che tragedie… che bèrci, che gridi e che pianti da accapponare la pelle davanti alle bare eccetera. Le “Amiche dei Minatori” sostenevano queste persone con tè, con biscotti, gli portavano tazze di brodo, le ospitavano a casa sua, le hanno fatte dormire a casa sua nei giorni prima del funerale… quindi si intrecciò questa amicizia tra queste poverette vedove che erano venute a riprendersi i corpi dei loro mariti, con le donne di Ribolla che erano già vedove, magari, per altri motivi.
[Intervista a Erino Pippi, 18.01.03] |
E quando dissero che c’era morte tutte queste genti era tutto…tutto… capirai, in un paese piccino in quella maniera… e allora furono allestite delle cucine, poi durante i soccorsi, mi ricordo, avevano messo tutte queste bare dentro il cinema… tutte nella platea… c’era tutte queste bare quando li ritirarono fuori. C’erano tutte queste bare e allora tutti i familiari… chi sveniva di qui, chi sveniva di là… capirai, so’ cose grosse… E allora venne il dottore e aveva fatto… aveva cercato – fra i quali c’ero anche io – dei ragazzi che si portava soccorso a queste persone: si portava con l’ammoniaca per farli rinvenire, poi si portava il brodo…avevano fatto delle cucine, mi sembra che facevano delle minestre, del brodo… roba così… E s’aiutavano così queste povere persone, questi familiari di queste vittime… 43 rimasero… 2, mi pare, li ritrovarono dopo un mese…
(Intervista a Nadia Masotti, 16.02.03] L’angoscia rendeva muti gli uomini; solo gli improvvisi scoppi di pianto e le urla strazianti dei familiari rompevano a tratti il silenzio.
(C.Cassola, Il clima di una tragedia, in: “Il nuovo Corriere – La Gazzetta”, 05.05.1954] |
[in: M. Cipriani, La Miniera a memoria, 2004]
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1-3. Fermo immagine da un cinegiornale dell'Istituto Luce
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…quando la mamma degli orfani miei
Si vestirà di nero qualche puttana d’un commendatore Metterà al collo ‘na collana d’oro. Che bella fregatura, mondo ladro! Tutto ‘l mi sangue trasformato in oro Dentro a le tasche de’ commendatori E i mi’ polmoni diventati pietra Tutti per me, tutti per me soltanto. (da: Il minatore silicatico di Morbello Vergari] Alle famiglie che invan hanno aspettato
alcuni da lontano i più vicini sentimmo forte il pianto dei bambini: io ve lo posso dir, so’ ’no scampato. (Da: Le morti Bianche di Florido Rosati, 1999] |
La camera ardente nel cinema-teatro Montecatini [in: M. Cipriani, La miniera a memoria, 2004)]
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Di quassù si vede tutta la sala: sotto lo schermo han montato un altarino, con due candele e un crocifisso, ai lati tutte bandiere rosse. Sopra ogni bara c’è un mazzo di fiori, e l’elmetto del minatore ucciso: si direbbe un manipolo soldati, e forse è davvero così. Il dolore è più composto, qua dentro. Una sposa meridionale sfoga la sua pena con un lungo lamento ritmico, nel quale ricorda le virtù del suo uomo e gli chiede perdono di qualcosa. Quanti modi di piangere a Ribolla! Una vecchia maremmana sta immobile, con gli occhi arrossati fissi nel vuoto...
[L. Bianciardi, Ira e lacrime a Ribolla, in: Il Contemporaneo, 15 maggio 1954] I figli che dei padri sono privi
Le mogli orbate dei propri mariti Le madri che non hanno più aggettivi Tutte ammantate di neri vestiti (Da: Ancora sul disastro di Ribolla di Savino Bernardi, 1954) |
I morti non li portarono via subito li misero tutti nella sala, tutti allineati nella sala con le bare, e allora venivano tutti i parenti di fuori, era uno strazio. Venivano dalla Sicilia, venivano dalla Calabria, venivano dalle Marche, venivano da tutte le parti perché qui c’erano da tutte le parti. E arrivavano poveretti, avviliti, in condizioni pietose. Allora si allestì una cucina e anche ci si organizzò, tutte noi dell’UDI, per dare a questa gente qualcosa da mangiare: gli si dava un pochino di caffè, un po’ di tè. Poi si vide che queste cose gli andavano male e allora ci si organizzò meglio, s’andò dal dottore e gli si disse: “guardi dottore, ci consigli lei di cosa servire a queste povere genti”. “Voi dategli brodo, dategli pane, un panino con qualche cosa, perché assai sono eccitati, se gli date il caffè e il tè fate peggio”. Perché c’era gente che non si teneva, gli pigliava le convulsioni a quei poveretti, proprio sembravano ammattiti. Sicchè noi si fece il brodo, e poi il dottore ci aveva dato dei sali. Perché la gente cascava in terra, era un macello, era un macello dentro quella sala, chi cascava di qui, chi cascava di là. I morti poi parte li portarono via, li portarono nei suoi posti. Perché la Montecatini in quel periodo non guardava a spese, se volevano portarli via pagava la Montecatini.
(Testimonianza di Finisia Fratiglioni, in: Silvia Pertempi, Montemassi, terra e miniera in una comunità della Maremma, 1986] |
[in: M. Cipriani, La miniera a memoria, 2004]
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[in: M. Cipriani, La miniera a memoria, 2004]
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Rimasi quattro giorni nella piana sotto Montemassi, dallo scoppio fino ai funerali, e li vidi tirare su quarantatre morti, tanti fagotti dentro una coperta militare. Li portavano all’autorimessa per ricomporli e incassarli, mentre il procuratore della Repubblica accertava che fossero morti davvero, in caso di contestazione, poi, da parte della sede centrale. Alla sala del cinema, ora per ora, cresceva la fila delle bare sotto il palcoscenico, ciascuna con sopra l’elmetto in materia plastica e in fondo le bandiere rosse.
[L. Bianciardi, La vita agra, 1962] |
I funerali [Archivio digitale Isgrec]
Poi la cerimonia si scioglie: le bare partono con i furgoni, seguiti dalle auto piene di donne vestite di nero. La gente se ne va, in una grande confusione di grida, clakson, motori. Le auto nere targate Roma e Milano, entrano nei cancelli della direzione: ne scendono industriali, prelati, ministri, sindacalisti liberi. Si torna alla normalità: partono i carabinieri e arriva la “celere”.
Mi trovo solo a girare per le strade polverose, e non riesco a credere che sia proprio tutto finito, e che non ci sia niente da fare.
[L. Bianciardi, Ira e lacrime a Ribolla, in: Il Contemporaneo, 15 maggio 1954]
Mi trovo solo a girare per le strade polverose, e non riesco a credere che sia proprio tutto finito, e che non ci sia niente da fare.
[L. Bianciardi, Ira e lacrime a Ribolla, in: Il Contemporaneo, 15 maggio 1954]
[Archivio Ronconi]
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Ci volle del tempo ma poi tutto tornò come prima, anche se niente lo era più.
Tutti i giorni guardavo mio marito scendere alla miniera e mi chiedevo se sarebbe tornato, pensavo ai miei figli. Vivevo sempre con questa angoscia. Come avere degli artigli dentro lo stomaco, ora dopo ora, minuto dopo minuto fino all’urlo della sirena che segnava la fine del turno di Bruno. Il giorno dopo tutto ricominciava. Avevo paura della morte, ma s’aveva anche tanta paura del licenziamento. ’erano le agitazioni sindacali, gli scioperi…qualche volta l’ho fatto anch’io, ma bisognava stare attenti… [testimonianza di Leonetta Bianchi in: M. Cipriani, La miniera a memoria, 2004] |
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