La storia della miniera di Ribolla, e conseguentemente dell’insediamento urbanistico, ha inizio sul finire del XIX secolo, con la scoperta dei primi filoni di lignite. Passato sotto la proprietà e la gestione della Società Montecatini nel primi anni Venti del secolo scorso, lo sfruttamento del giacimento è stato sempre legato alle necessità nazionali in momenti di blocco del mercato di scambio internazionale. L’attività produttiva, quindi, è stata discontinua e regolata in base a logiche di sfruttamento forzato come nel periodo della politica autarchica del regime fascista o durante le guerre. L’emergenza della ricostruzione nei primi anni del secondo dopoguerra creò un clima di collaborazione e mobilitazione per consentire la ripresa dell’attività produttiva. La manodopera crebbe enormemente con l’arrivo di operai dal Meridione, dall’entroterra e dalle zone montane del grossetano. Molti anche i minatori convogliati direttamente dalla Società Montecatini dalle altre miniere di sua proprietà sul territorio nazionale. Venne a crearsi una comunità differenziata per provenienza, tradizione socio-culturale e stili di vita, un corpo sociale variegato ma legato indissolubilmente ai ritmi e all’attività della miniera.
Sul finire degli anni Quaranta, con la crisi del mercato della lignite, minerale non più conveniente da estrarre, iniziò anche il declino dell’attività mineraria del villaggio. La palese volontà della Società Montecatini, che gestiva oltre alla miniera di Ribolla anche altre miniere del grossetano, di smobilitare gli impianti e diminuire la manodopera, portò la Camera del lavoro provinciale a un ampio sforzo per contrastare questo disegno. L’impossibilità di stabilire e mantenere un dialogo produttivo con la Società sfociò in un clima di aperta ostilità.
Sul finire degli anni Quaranta, con la crisi del mercato della lignite, minerale non più conveniente da estrarre, iniziò anche il declino dell’attività mineraria del villaggio. La palese volontà della Società Montecatini, che gestiva oltre alla miniera di Ribolla anche altre miniere del grossetano, di smobilitare gli impianti e diminuire la manodopera, portò la Camera del lavoro provinciale a un ampio sforzo per contrastare questo disegno. L’impossibilità di stabilire e mantenere un dialogo produttivo con la Società sfociò in un clima di aperta ostilità.
Le immagini del video sono provengono dall'Archivio di Corrado Banchi.
La voce è di Erino Pippi (intervista del 18.01.2003) |
...la vita a Ribolla, ora glielo spiego io, era un formicaio, lei faccia conto di vedere un formicaio intorno al buco per entrà. Le strade erano tutte bianche, non asfaltate, quindi tra la polvere delle strade e la polvere del carbone, la polvere era da per tutto. La gente era un miscuglio, non dico di razze ma quasi, perché c’erano siciliani, calabresi, sardi, montagnoli di Abbadia S.Salvatore…di qui erano quelli che lavoravano dalle campagne. Per esempio loro venivano da una famiglia che vivevano in un podere qui vicino e si sono trasformati da contadini a minatori. Quindi già questo…abitudini diverse, dialetti diversi, modi di fare diversi…e poi c’erano gli scapoli, quelli che non avevano la famiglia qui, quelli che erano venuti da lontano e che abitavano nei camerotti, delle vecchie caserme…come in una caserma, via. In uno stanzone ce ne stavano in 7 o 8 e quindi si può immaginare la vita di queste persone. quelli senza famiglia, quest’altri con caratteri diversi….si ritrovavano nei punti di aggregazione che erano la casa del popolo… La casa del popolo era dei rossi e il dopolavoro era dei bianchi, cioè quelli che erano amici della Montecatini; e poi le donne si trovavano alla dispensa quando andavano a fa’la spesa, si trovavano a fare la fila per prendere il pane, la fila per prendere l’acqua perché bisognava fa’la fila per prendere l’acqua e non tutto filava liscio perché sgomitavano in parecchi, si bisticciavano…i minatori poi avevano l’abitudine di bere u po’ di vino, era l’unico svago, non è che…anzi, loro dicevano che bere un po’ di vino gli faceva bene per levarsi la polvere dei polmoni…insomma, l’avevano inventata per un loro uso…bevevano ma si ubriacavano e quando si ubriacavano lei si può immaginare [...] I montagnoli di Abbadia erano tremendi. Quando erano ubriachi quelli ci scappavano cazzotti e anche più. Quindi la vita era in questa maniera. La Società faceva un po’ di politica sociale, non lo so se si può chiamare in questa maniera, con la squadra di calcio, con le feste, i veglioni…per cercare di dare un po’ di scopo alla vita di questa gente e quando c’erano le feste tutto andava bene e quando non c’erano tutto andava male. Ma insomma era una cosa vivace, non era come ora…ora è tranquillo, il paesino di ora sembra di essere in un paradiso. A quel tempo era tutto un brulicare…quello litigava di qui, quello litigava di là...
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Dalla fine del 1950 il clima si fece sempre più teso: sospensioni dal lavoro, licenziamenti per motivi politici, interventi della Celere, scioperi, occupazioni di pozzi. Ribolla diventò il centro organizzativo delle lotte minerarie della provincia, tanto che le “imprese” degli operai ribollini ebbero eco nazionale; agli inizi del 1951, dettero vita, insieme ai dipendenti delle altre miniere maremmane, a un periodo di lotte che raggiunse il suo apice con una vertenza rimasta nella memoria collettiva, come “lo sciopero dei 5 mesi” (febbraio-luglio), con l’obiettivo di introdurre nuovi sistemi di cottimo e che si conclude, nonostante la tenacia di chi la portò avanti, con una dura sconfitta per la classe operaia.
Proprio durante lo "sciopero dei 5 mesi", fece la sua comparsa nella lotta politica e sindacale il movimento femminile, capitanato nelle fasi iniziali dalle donne più politicizzate delle organizzazioni della sinistra (l'Unione donne italiane, in particolare), alcune con esperienza di Resistenza civile alle spalle. Il movimento finì ben presto per allargarsi a un vasto schieramento, coinvolgendo anche donne avulse all'impegno politico, proprio perché quello per cui le donne si mobilitavano era la difesa degli interessi e delle condizioni di vita delle loro famiglie. Pur dipendendo nella sostanza dalle istanze rivendicative dei loro padri, fratelli, figli o mariti, le donne riuscirono a ritagliarsi spazi di autonomia inconsueti per gli anni Cinquanta e la loro lotta guadagnò pian piano risonanza nazionale.
Al di là degli obiettivi concreti della lotta (migliori stipendi, maggiore sicurezza, assistenza sanitaria adeguata, etc.), un forte senso di precarietà della vita era alla base del movimento di protesta. Tutto si svolgeva intorno e in funzione della miniera. Il villaggio di Ribolla era di esclusiva proprietà della Società Montecatini: sue la miniera, le case, la mensa, suoi l’ambulatorio, lo spaccio alimentare e il dopolavoro; sua persino la squadra di calcio. La vita quotidiana era legata allo status di dipendente della Montecatini e, all’interno di questa categoria, allo status di “persona gradita” ai dirigenti della Società: la possibilità di avere un’abitazione, l’opportunità di usufruire dei prezzi vantaggiosi dello spaccio aziendale, la possibilità di far studiare i figli… Questo offriva all'azienda armi per controllare, e all'occorrenza ricattare, i dipendenti.
Proprio durante lo "sciopero dei 5 mesi", fece la sua comparsa nella lotta politica e sindacale il movimento femminile, capitanato nelle fasi iniziali dalle donne più politicizzate delle organizzazioni della sinistra (l'Unione donne italiane, in particolare), alcune con esperienza di Resistenza civile alle spalle. Il movimento finì ben presto per allargarsi a un vasto schieramento, coinvolgendo anche donne avulse all'impegno politico, proprio perché quello per cui le donne si mobilitavano era la difesa degli interessi e delle condizioni di vita delle loro famiglie. Pur dipendendo nella sostanza dalle istanze rivendicative dei loro padri, fratelli, figli o mariti, le donne riuscirono a ritagliarsi spazi di autonomia inconsueti per gli anni Cinquanta e la loro lotta guadagnò pian piano risonanza nazionale.
Al di là degli obiettivi concreti della lotta (migliori stipendi, maggiore sicurezza, assistenza sanitaria adeguata, etc.), un forte senso di precarietà della vita era alla base del movimento di protesta. Tutto si svolgeva intorno e in funzione della miniera. Il villaggio di Ribolla era di esclusiva proprietà della Società Montecatini: sue la miniera, le case, la mensa, suoi l’ambulatorio, lo spaccio alimentare e il dopolavoro; sua persino la squadra di calcio. La vita quotidiana era legata allo status di dipendente della Montecatini e, all’interno di questa categoria, allo status di “persona gradita” ai dirigenti della Società: la possibilità di avere un’abitazione, l’opportunità di usufruire dei prezzi vantaggiosi dello spaccio aziendale, la possibilità di far studiare i figli… Questo offriva all'azienda armi per controllare, e all'occorrenza ricattare, i dipendenti.
1. Le casette degli operai della Montecatini [in: M. Cipriani, La miniera a memoria, 2004]
2-3. [Archivio digitale Isgrec] |
La gente si sposava, matrimoni d’incrocio fra maremmane e siciliani, sardi, marchigiani, e sposandosi metteva su casa, cioè comprava i mobili. Le case a Ribolla erano e sono quello che sono, vecchie case (ma forse non erano mai state nuove), case di fortuna, destinate a stare in piedi finché sta in piedi la miniera […]. Una volta che andammo a Ribolla per vedere le case, le donne ci invitavano volentieri ad entrare, e ci mostravano le crepe sui muri, le chiazze d’umidità. […] eppure siamo convinti che quelle donne, che polemizzavano piuttosto vivacemente contro l’incuria della “Montecatini”, provassero in fondo una sorta di orgoglio, nel farci vedere che dopo tutto il pavimento era pulito, ogni cosa assettata e in ordine, i mobili nuovi, ben conservati, e con qualche pretesa di lusso.
[L. Bianciardi, C. Cassola, Paesi e villaggi minerari, in: I Minatori della Maremma, 1956] |
La fonte è il luogo d’incontro delle donne, che vi sprecano cinque, sei volte al giorno con la coppia delle magnifiche brocche di rame: altro punto, quindi, e vivacissimo, i cui si scambiano (e si creano) le notizie della cronaca minuta. Il luogo, come avvertono stornelli e canzoni, in cui i giovanotti incontrano le ragazze.
[L. Bianciardi, C. Cassola, Paesi e villaggi minerari, in: I Minatori della Maremma, 1956] |
1. Fontanelle nel villaggio di Ribolla [in: M. Cipriani, La miniera a memoria, 2004]
2. [Archivio digitale Isgrec] |
Foto nel video:
1. L'asilo delle suore a Ribolla [Archivio Banchi, anni Cinquanta] 2-3. Refettorio e aule dell'asilo interno Montecatini [Centro per la cultura d'impresa, fondo Edison, EDS ST DV 16-17] 4. Le scuole elementari negli anni del fascismo [Archivio privato di Orielda Tognoni] La voce è di Erino Pippi (intervista del 18.01.2003) |
I ragazzi andavano a scuola. Anche qui c’era un’altra divisione di classe grossa perché fino alle elementari si andava alle elementari che erano qui. Poi per andare alle medie bisognava andare a Grosseto. Per andare a Grosseto bisognava andare da qui alla stazione di Giuncarico e poi prendere il treno e andare a Grosseto. Questi mezzi per i figli dei “crumiri”, per i figli degli impiegati della Montecatini erano gratuiti, glieli davano come buoni proprio; per i figli dei minatori che scioperavano non era possibile e quindi si fermavano alla quinta elementare e non studiavano più. Solo qualche caso che l’ha fatto dopo...
(Intervista a Erino Pippi, 18.01.03] |
...c’era i pullmann per andà alla partita di calcio della squadra di Ribolla…anche lì parecchia gente, chi era appassionato ci andava.
(Intervista a Anna Pippi, 26.01.07] I ragazzi e tanto io, la mi’sorella…insomma si faceva le recite…c’era il cinema bello grande…E poi sa cosa? Facevano vedere bei film e l’operette c’è stato, tante! Cantanti, facevano venire! […]
C’è stato Teddy Reno, ce n’è stati tanti! E l’operette! Venne una compagnia tanto brava! Insomma, davano un po’ di svago e per esempio per Santa Barbara facevano dei bei veglioni, insomma, delle feste abbastanza belline. Allora per i giovani era quel momento perché poi […] non c’era niente! […] Al cinema…oddio, gli impiegati c’avevano il palco sopra…ma ci si poteva andà anche noi e la platea giù c’era tutti gli operai. (Intervista a Orielda Tognoni, 26.01.03) |
1-2. Ragazze assistono alla partita della squadra di calcio del Ribolla, anni Cinquanta, a.s. [in: M. Cipriani, La miniera a memoria, 2004]
3-4-5. Il cinema teatro della Montecatini (oggi Porta del Parco) e lo spaccio aziendale (Centro per la cultura d'impresa, fondo Edison, EDS ST DV 14, 24, 15] |
Foto nel video:
1. Comizio dell’on. Sironi a Ribolla per l’8 marzo, anni Cinquanta, a.s. [in: P. V. Marzocchi, Passi in avanti, 1995] 2. L’on. Mauro Tognoni (il secondo da destra), ascolta la relazione di una giovane donna nella sezione del PCI di Ribolla [Archivio Tagliaferro] 3. Comizio a Ribolla negli anni Cinquanta, al centro è riconoscibile Mendes Masotti, segretario della sezione del PCI di Ribolla, minatore e marito di Finisia Fratiglioni [Archivio Tagliaferro] 4-7. Comizi a Ribolla (nella foto n.5 è riconoscibile Ingrao) [Archivio digitale Isgrec] La voce è di Lea Turacchi (intervista del 03.02.2003) |
Anche quando c’era questa Nisia [Finisia Fratiglioni] teneva insieme le cose; quando c’era la Festa dell’Unità, ci chiamava alla festa dell’8 marzo spargeva la voce tramite questa Nada Mucciarelli…”fate un dolce”, anche a mo’ di gara, dava un piccolo premio…si invitava, veniva tutto il paese, tutte le donne vicine al partito, insomma, con un mazzolino di mimose, chi faceva i crogetti […] Io anche se avevo questi bimbi piccini mi piaceva. Facevo dei dolci, oppure dei bei vassoi di crogetti… Portavo i mi’ figlioli lì, tutte le donne, un po’ di musica…Poi […] Nisia invitava una a parlare…Venivano dalla federazione… insomma, mi ci sentivo, mi coinvolgevano ...
(Intervista a Lea Turacchi, 03.02.03] |
Ho fatto parte dell’UDI. S’andava a vende i giornalini “Noi donne”. Ci chiudevano la porta in faccia come si fa ora ai Testimoni di Geova (ride, ndr.). E così è stata sempre la vita in continuazione. Si incominciò con le Feste dell’Unità. Allora le Feste dell’Unità non erano mica come ora che c’hanno la stanza! Si faceva con un fornellino il carbone e si faceva così, si cuoceva la trippa, si cuoceva qualcosa così, per merenda, ecco…
[…] E si incominciò così. Poi venne le lotte della miniera, dopo. Le lotte della miniera e l’occupazione della miniera. Sicché sempre in adesione ai minatori…
(Intervista a Milena Testi, 22.11.02)
[…] E si incominciò così. Poi venne le lotte della miniera, dopo. Le lotte della miniera e l’occupazione della miniera. Sicché sempre in adesione ai minatori…
(Intervista a Milena Testi, 22.11.02)
Immagini nel video:
1. Banchetto di “Noi donne” a Ribolla, anni Cinquanta, a.s. [Archivio della Federazione prov.le del PCI] 2. Le cucine alla Festa dell'Unità, a.s. [Archivio digitale Isgrec] 3. Fiera di beneficenza a Ribolla [Archivio digitale Isgrec] 4. Mendes Masotti in un comizio a Ribolla [Archivio digitale Isgrec] 5. La sezione del PCI di Ribolla [Archivio digitale Isgrec] 6. Manifestazione del PCI di Ribolla, anni Cinquanta, a.s. [Archivio della Federazione prov.le del PCI] 7. Finisia Fratiglioni [Archivio digitale Isgrec] Voce di Lea Turacchi, intervista del 03.02.2003 |
…io so’rimasta come mi ha insegnato questa Nisia Masotti che era una donna eccezionale, secondo me […] aiutare, aiutava! Aiutare un compagno, lei lo faceva senza chiedere niente al partito. Capito? Senza chiedere qualcosa per sé o per i suoi familiari come hanno fatto tanti. Lei la faceva con convinzione perché l’aveva nel DNA…lei e il su’marito (Mendes Masotti, ndr). […] Anche il babbo di Mendes era una bravissima persona che ha fatto il sindaco. Aiutava, aiutava tanto chi aveva bisogno, i poveri […] Lei era un donna…Lui lo conosceva meglio il mi’marito, andavano alle riunioni insieme. Lui aveva un sorriso sempre per tutti. Forse pure troppo, però aiutava sia il bianco che il rosso che il verde. Gliele diceva così, era un uomo pacato, non era violento. Lei era una donna decisa, determinata e soprattutto lo faceva perché era comunista, perché ci credeva. Non è che s’era avvicinata come tanti per uno scopo.
[…] E’ rimasta una donna semplice, sempre nella sua casettina di tre stanze. Modesta però retta […] vedevi una donna pulita, onesta, umile, con quell’idee che lei non s’era migliorata come hanno fatto tanti, il posto di qui, la casa più grande, più bella…Le sue due stanzine, modeste…Capito? Non s’era…nonostante il su’marito fosse stato nel partito… (Intervista a Lea Turacchi, 03.02.03] |
Molte le forme di lotta delle donne: manifestazioni, cortei, dibattiti e concreta solidarietà come la raccolta di viveri e denaro per il sostentamento delle famiglie degli scioperanti. Nascono commissioni di donne in processione quotidiana dal Direttore della miniera per far pesare la loro presenza e le loro richieste; si convocano assemblee di caseggiato e nei paesi vicini per coinvolgere quante più persone nel movimento rivendicativo e spiegare le ragioni della lotta. Grazie a un’opera capillare di contatto e propaganda, donne di diversa estrazione sociale e orientamento politico sono mano a mano coinvolte. Fra queste le contadine, categoria importante nella Maremma rurale, in lotta per l’assegnazione della terra.
All’azione rivendicativa forte del movimento operaio e del movimento femminile rispondeva la violenza della Celere, che a Ribolla stazionava in maniera continuativa. Molte donne furono arrestate per aver intralciato più volte gli autobus che dovevano portare i “crumiri” al lavoro sdraiandosi sulle vie di collegamento. L'episodio più eclatante – 50 donne condannate a 5 anni con la condizionale – nel 1953, durante uno sciopero di 72 ore.
All’azione rivendicativa forte del movimento operaio e del movimento femminile rispondeva la violenza della Celere, che a Ribolla stazionava in maniera continuativa. Molte donne furono arrestate per aver intralciato più volte gli autobus che dovevano portare i “crumiri” al lavoro sdraiandosi sulle vie di collegamento. L'episodio più eclatante – 50 donne condannate a 5 anni con la condizionale – nel 1953, durante uno sciopero di 72 ore.
Foto del video in: M. Cipriani, La miniera a memoria, 2004
La voce è di Erino Pippi (intervista del 18.01.2003) |
Le donne facevano opera di sostegno a tutti gli scioperi. Un altro episodio: a un certo punto un gruppo di minatori scese in miniera e si rifiutò di uscire; ci stettero 72 ore dentro, quindi tre giorni e tre notti laggiù senza uscire, senza vedere il sole. Queste “Amiche dei Minatori” riuscirono, con una persona che non si è mai saputo chi è, a mandargli giù le pietanze, a mezzogiorno il pranzo, la cena la sera e la mattina di colazione, malgrado che intorno al pozzo ci fosse la polizia che avesse sbarrato ogni contatto.[…] le donne erano quelle che preparavano, nascoste in un podere lì vicino, per non farsi trovare dalla polizia avevano improvvisato una cucina ed erano una quarantina questi minatori quindi dovevano preparare il mangiare per 40 persone. Quindi la polizia non trovò le donne che prepararono questo mangiare e non trovò il minatore o i minatori che lo portarono giù. Sembra che ci sia stata una vecchia discenderia, ma roba di cent’anni fa, che soltanto alcune persone conoscevano e passarono di lì.
(Intervista a Erino Pippi, 18.01.03] |
Camionette della Celere a Ribolla, anni Cinquanta, a.s.
[in: www.ribollastory.net) C’era la Celere! La Celere che mandava via. E poi io non mi ci so’ ritrovata quando veniva la Celere qui a Ribolla perché quando venne […] io ero in stato interessante e non andavo quando magari c’era parecchia confusione, non andavo più… ma tante donne che andavano, che fermavano… perché poi c’era quelli che allora venivano chiamati “crumiri”, quelli che andavano a lavoro volontari e tante donne andavano per fermare i pullmann dei “crumiri”, li insultavano come dire “noi si fa le lotte e voi altri fate…”. E parecchie volte so’ state denunciate… so’ state denunciate… Io in quel periodo lì non so’ stata mai denunciata perché ero in stato interessante, ero grossa ed evitavo di fare queste cose così… Ma parecchie donne c’hanno avuto dei processi. Per esempio, una la mi’ socera; c’aveva avuto il processo perché aveva fermato uno di questi pullmann e avevano insultato questa gente che andava a lavoro… insultato… Insomma, volevano vedere se riuscivano a fare uno sciopero generale perché ora magari è più compatto lo sciopero ma allora era meno compatto di ora perché la gente aveva paura di esse mandata via da lavoro se faceva lo sciopero e parecchi andavano anche contro la volontà.
[Intervista a Milena Testi, 22.11.02] |
Ma, ha visto, non è che facevo parte [delle Amiche dei Minatori,ndr.], perché tra l’altro ero anche un po’ giovane, ero. Però, coinvolta in una famiglia che erano tutti così, con tutti i mille problemi, capirà! Come si fa tante volte… poi ci mancava dalla A alla Z! Ci se ne sentiva anche di più perché i redditi che noi… noi si viveva con questo e non si riscuoteva! E poi troppe cose, insomma… Ci s’aveva tanta miseria! Non c’è niente da fa’! […] Ma le manifestazioni a cui io ho partecipato lo sa quale so’? Ho avuto anche il processo, so’ stata cosata [condannata, ndr.]. Poi dato che allattavo non ho potuto partecipà al processo però m’è toccata la condizionale. […] Questo era prima della tragedia perché in questi scioperi, capirà, c’era i pullmann da Montemassi, Tatti, Sassofortino, Prata, Roccastrada, Giuncarico, Caldana, tutti questi paesini venivano qui… capirà, viaggiavano questi crumiri e noi s’andarono a fermà però s’era fuori legge, dice che non si potesse fa’! Perché poi si fermava la strada provinciale! […] Ci si metteva davanti ai camion a vedé se ci schiacciavano… però non è che ci schiacciassero perché, insomma, gli autisti… però anche loro erano dipendenti e allora, ha visto com’è… e allora lì nella strada, lì a sedé, lì così… e insomma si faceva quel che si poteva fa’… però veramente si so’ proprio fermati! […] Ero giovane e poi, capirà, c’era la mi’ mamma, che aveva famiglia numerosa… e allora, lei! Sicché… E poi ci s’aveva la caserma proprio dietro casa e c’era il maresciallo, insomma… […] Eh, ci dava noia! Ha visto, punzecchiava, ha visto come succede? Tanto anche loro fanno… E poi chiappavano qualcheduno, lo portavano in caserma, sicché noi si vedeva e allora si cercava di farlo portà fuori dalla caserma perché, ha visto, secondo anche loro andavano ai pozzi, sempre che ce li mandava la Montecatini… e allora quello faceva il crumiro, quell’altro faceva… diceva qualche cosa… e allora lo pigliava e lo portava in caserma. Noi, vedendo la camionetta con questi… capirai, la mi’ mamma pensava sempre ci fosse qualcheduno dei sua, perché, come le ripeto, con tutti i generi tutti lì! E allora si facevano le dimostrazioni davanti alla caserma, si entrava là e allora poi, ha visto, qualche volta, con la Celere… qualche colpettino c’è toccato, ma insomma…
(Intervista a Silvana Bonelli, 03.02.03] |
Foto del video: i soci della cooperativa di consumo di Ribolla in una foto del 1950. La cooperativa di consumo fu molto attiva nel sostenere le famiglie dei minatori, sia durante gli scioperi, sia durante l’emergenza della tragedia del 1954 [Archivio Memorie Cooperative]
La voce è di Erino Pippi (intervista del 18.01.2003) |
Ecco, le donne dei minatori facevano questo, di sostegno alle lotte; poi le sottoscrizioni, raccolta di viveri per quando facevano gli scioperi, perché facevano degli scioperi che duravano dei mesi, i minatori, e le famiglie dei minatori per mesi non avevano lo stipendio. Allora i commercianti, la cooperativa, i paesi vicini, i contadini davano tutti il loro contributo. E questo era tutto lavoro che facevano le donne e i giovani anche. Lo portavano giù alla casa del popolo e poi lo dividevano tra i più bisognosi.
(Intervista a Erino Pippi, 18.01.03] |
L'8 marzo del 1951 fu una giornata chiave per il movimento femminile della provincia. Il clima della guerra fredda segnò profondamente anche le politiche dell'UDI, che capeggiava la “crociata contro l’atomica”. A Ribolla molte donne raccolsero firme per il disarmo, si fecero portatrici del messaggio pacifista dell’UDI, ricamando le “bandiere della pace”, per poi donarle ai minatori in sciopero o issarle sui pagliai dei contadini in lotta per la terra. Le tradizionali iniziative di beneficenza per la giornata internazionale della donna si legarono strettamente alle rivendicazioni politiche del movimento operaio e contadino. Ben presto il movimento femminile si rese conto di aver bisogno di una struttura più solida del semplice spontaneismo per portare avanti le proprie battaglie.
DA RIBOLLA.
CENTINAIA DI DONNE A PIEDI, PER MANIFESTARE A FIANCO DEI MINATORI Il 15 corrente alle ore 15.30, nel teatro E.N.A.L. di Ribolla si è svolta la manifestazione delle donne per protestare contro lo sfruttamento nelle miniere e contro la decurtazione del salario dei minatori. Una commissione creata dall’assemblea si recava successivamente dal Direttore con una richiesta da inoltrare alla Sede Centrale perché si addivenisse a degli accordi e si revocasse la disposizione relativa alle decurtazioni. Numerosissime erano intervenute in appoggio alle donne dei minatori, le contadine e le donne dei braccianti. L’U.D.I. provinciale rappresentato dall’amica Verni Ersilia si è impegnato per un appoggio incondizionato alla lotta in corso. Le donne dei minatori si sono portate durante questi ultimi giorni nei vicini paesi per illustrare la portata della lotta in corso nelle miniere. Ovunque è stata trovata la più larga comprensione, ed il concorso delle masse femminili alle assemblee popolari è stato notevolissimo. Si sono mosse donne non appartenenti a schieramenti politici e che mai avevano preso parte a qualsiasi manifestazione. Tutte quante hanno risposto con slancio alla parola d’ordine «Tutte le donne a Ribolla per protestare contro la Montecatini». Non potendosi trovare mezzi di trasporto sono venute a Ribolla a piedi. Da Roccatederighi, da Sassofortino, da Montemassi, Peruzzo e da Roccastrada sono venute le donne: decine di chilometri hanno fatto. Uno spettacolo commovente e indimenticabile. Il teatro fu pieno in un batter d’occhio. Mai si era vista una simile manifestazione. Così scrive da Ribolla l’amica Finisia Masotti: «Il maresciallo di Roccastrada, stamani alla C.E.A. (l’autobus del servizio), proibiva a tutte le donne di salire, anche se qualcuna fosse stata diretta a Grosseto. Le donne hanno risposto che a Ribolla sarebbero andate lo stesso a piedi. Da Sassofortino sono giunte due vecchie, insieme alle altre donne: una di esse ha settantacinque anni, ed era ammiratissima». La Celere, che già era sul «sentiero di guerra», sbarrava la strada di accesso alla Direzione della miniera, ed era armata perfino di bombe lacrimogene. Ma la commissione passò ugualmente e fu ricevuta dal Direttore alla presenza del Commissario di polizia e del Maresciallo dei Carabinieri. Le donne hanno ascoltato le assicurazioni del Direttore, ma hanno fatto sapere che sarebbero state disposte a intensificare il loro appoggio con forme più concrete di lotta a fianco dei minatori. Una gran bella giornata per Ribolla, per la fiera classe operaia, per le bravissime donne della zona mineraria, strette sempre più al fianco dei loro uomini impegnati dall’aspra lotta in corso. “Riscossa Democratica”, periodico della federazione provinciale del PCI, n. 13, 26/03/1951 |
La lotta delle donne a fianco dei minatori
Nel quadro delle lotte che i lavoratori di tutta Italia conducono per la difesa dei loro diritti e del loro salario si inserisce quella magnifica che i lavoratori delle miniere stanno conducendo in questi giorni nella nostra provincia contro lo sfruttamento e l’intransigenza della Montecatini. E’ una lotta che conosce momenti eroici e che vede dei minatori, uomini di tutte le categorie, dai commercianti agli studenti, dagli artigiani agli operai, che tutti prendono vita dalle miniere, la maggiore ricchezza di questa provincia. Ma gli episodi più belli di solidarietà e di coraggio ce li danno giorno per giorno le donne dei minatori, che hanno fatto chilometri a piedi per partecipare alle manifestazioni di protesta contro la Montecatini nonostante il divieto delle autorità. E non solo le donne dei minatori, che sono direttamente interessate alla lotta, ma anche le altre donne, mogli di commercianti, impiegate, lavoranti a domicilio, hanno portato la loro parola, hanno dato il loro contributo, hanno donato ai minatori, riunite nella grande famiglia che è l’Unione Donne Italiane, numerose bandiere della pace, dimostrando così di aver compreso che questa grande battaglia non ha solo il significato materiale e morale di lotta per la redenzione del lavoro, ma che ha inoltre un grande significato politico: esigere che il governo, sotto la pressione della volontà popolare cambi la sua politica estera, non spenda miliardi per il riarmo, non prepari una folle guerra contro l’Unione Sovietica, ma dall’Unione Sovietica prenda esempio per assicurare il benessere dei suoi cittadini. Per la prima volta nella nostra provincia le donne si sono mosse in forma così imponente e hanno chiaramente dimostrato che i padroni non possono più contare sulla loro debolezza e sulla loro incomprensione. Se le donne incoraggeranno e aiuteranno i loro uomini nella lotta, non ci saranno più rivendicazioni, che gli uomini non possano ottenere, battaglie che essi non possono vincere. Questo sanno i padroni della Montecatini, che cercano con ogni mezzo, affannosamente ma inutilmente, di impedire alle donne di muoversi per raggiungere i luoghi dove si manifesta. Questa volta essi non riusciranno a spezzare l’unità delle donne intorno ai minatori. Esse saranno di esempio alle donne di tutta Italia, alle donne di tutto il mondo. “Riscossa Democratica”, periodico della federazione provinciale del PCI, n. 15, 23/04/1951 |
Mi sembra che ci fosse la guerra in Corea o in qualche posto. Non mi ricordo bene. E i giovani iscritti alla FGCI, che era la Federazione giovanile comunista, organizzavano delle manifestazioni per la pace [...] Si mettevano delle bandiere della pace sui pagliai quando i contadini trebbiavano il grano. Questo voleva dire che i giovani e i contadini erano dalla parte di chi voleva la pace. Queste bandiere – anche perché a quei tempi non c’erano i soldi per andarle a comprare, nessuno ce l’aveva – erano fatte da pezzetti di stoffa grandi come un fazzoletto, ognuno colorato come gli pare, ricamato il nome dalla ragazza che le più volte erano le fidanzate dei giovani che poi andavano a metterle sul pagliaio. Erano bandiere grosse, insomma… tutte c’erano sicuramente una cinquantina, sessanta fazzoletti cuciti l’un con l’altro di cento colori con un’asta, con tanti nomi delle ragazze stavano sul pagliaio fino a che durava la trebbiatura… […]. Perché anche lì era un’altra battaglia… perché ce n’è cento di cose… perché quando s’andava da questi contadini, i padroni dei contadini mica volevano che i giovani portassero la bandiera della pace!
Erano lotte anche lì! Quindi non s’ebbe solo a che fare con la Montecatini, ma s’ebbe a che fare anche con i proprietari agrari che non volevano rendere politica una giornata di lavoro, quindi bisognava andarci di sottecchi… […] Stavano molto uniti nelle lotte, contadini e minatori si aiutavano. Se c’era uno sciopero di braccianti, parecchie volte i minatori per solidarietà lo facevano anche in favore dei braccianti e qualche volta i braccianti lo facevano in favore dei minatori. (Intervista a Erino Pippi, 18.01.03] |
Immagine del video: Anzio Pelletti, Festa dei lavoratori, anni Cinquanta. Uno dei bambini sul carro tiene stretta una bandiera della pace [in: A. Pelletti, Tragedia in miniera, 2004]
Voce di Erino Pippi, intervista del 18.01.2003 |
DA RIBOLLA.
SVENTOLANO SUI POZZI DELLE MINIERE LE BANDIERE DELLA PACE.
Con il più bel sole di primavera, Ribolla, abbandonato il suo abituale corruccio, ha porto il saluto ai suoi minatori allo scadere del sessantesimo giorno di lotta. Alle tre del pomeriggio, le strade che portano a Ribolla riversavano ancora gruppi folti di donne e di ragazze, chi a piedi o in bicicletta, tutte dirette alla manifestazione di adesione allo sciopero generale.
Abbiamo cercato di valutare il numero dei manifestanti: pensiamo di essere in difetto stimandolo a cinquemila. Vi è un entusiasmo alle stelle, che fa presa in tutti, che arriva a toccare profondamente anche la nostra sensibilità, allorché pensiamo che due mesi sono ormai passati dall’inizio della lotta contro la “Montecatini”, che sono stati falcidiati i salari con decurtazioni vergognose e illegali, e che i minatori non solo resistono più accanitamente, ma vedono ogni giorno accrescere intorno a loro la simpatia delle popolazioni e la solidarietà di ogni tipo categoria di lavoratori.
[…] Allorché dalle delegazioni femminili contadine e giovanili sono state offerte le bandiere della pace, perché venissero issate sui pozzi della miniera, tutta la sala è esplosa in una incontenibile manifestazione di giubilo. Tutte sono state raccolte dai minatori, e quando la grande fiumana si è riversata pacifica e entusiasta per il lunghissimo viale che porta alla Direzione, via via, come ad accompagnare l’interminabile snodarsi dei manifestanti, sui pozzi salivano, ammirate le candide bandiere con la colomba in volo. Mentre una commissione guidata da Lucchesi presentava l’ordine del giorno votato alla Direzione, ci siamo infiltrati attraverso la marea soffocante alla ricerca di impressioni fra le donne e i lavoratori. Mi ha colpito particolarmente la presenza di decine e decine di vecchie, che con spirito giovanile hanno affrontato il disagio della marcia, a piedi, per decine di chilometri. Le donne di Torniella, che dista 42 chilometri da Ribolla, hanno fatto due tappe addirittura, con pernottamento a Roccastrada.
Da Radi sono venute più di un centinaio capeggiate da una vecchia di 78 anni. Una di loro, Pagliughi Caterina, ci ha detto:
«Ho il marito che lavora nella miniera “Montecatini” da 17 anni, fa l’armatore; siamo decise, se necessario a tornare ancora, così, a piedi come abbiamo fatto oggi».
[…] Gelsomina Pieri ha 75 anni; viene da Sassofortino, 18 chilometri a piedi. Ha in miniera un figlio ed un nipote.
[…] Una giovane, carina e simpatica, Olvas Braglia ha confezionato con le sue compagne una delle bandiere della pace donate ai minatori.
«Siamo decise ad aiutare i minatori fino in fondo, dovesse pur continuare la lotta all’infinito».
Molte sono state le forme di solidarietà concreta che si sviluppano ancora. Sono state sottoscritte 300.000 lire fino ad oggi, e decine e decine di quintali di grano, forti quantitativi di olio, formaggio ed altri generi, sono stati offerti dai contadini, e’ in atto una gara commovente. […]
“Riscossa Democratica”, periodico della federazione provinciale del PCI, n. 15, 23/04/1951
SVENTOLANO SUI POZZI DELLE MINIERE LE BANDIERE DELLA PACE.
Con il più bel sole di primavera, Ribolla, abbandonato il suo abituale corruccio, ha porto il saluto ai suoi minatori allo scadere del sessantesimo giorno di lotta. Alle tre del pomeriggio, le strade che portano a Ribolla riversavano ancora gruppi folti di donne e di ragazze, chi a piedi o in bicicletta, tutte dirette alla manifestazione di adesione allo sciopero generale.
Abbiamo cercato di valutare il numero dei manifestanti: pensiamo di essere in difetto stimandolo a cinquemila. Vi è un entusiasmo alle stelle, che fa presa in tutti, che arriva a toccare profondamente anche la nostra sensibilità, allorché pensiamo che due mesi sono ormai passati dall’inizio della lotta contro la “Montecatini”, che sono stati falcidiati i salari con decurtazioni vergognose e illegali, e che i minatori non solo resistono più accanitamente, ma vedono ogni giorno accrescere intorno a loro la simpatia delle popolazioni e la solidarietà di ogni tipo categoria di lavoratori.
[…] Allorché dalle delegazioni femminili contadine e giovanili sono state offerte le bandiere della pace, perché venissero issate sui pozzi della miniera, tutta la sala è esplosa in una incontenibile manifestazione di giubilo. Tutte sono state raccolte dai minatori, e quando la grande fiumana si è riversata pacifica e entusiasta per il lunghissimo viale che porta alla Direzione, via via, come ad accompagnare l’interminabile snodarsi dei manifestanti, sui pozzi salivano, ammirate le candide bandiere con la colomba in volo. Mentre una commissione guidata da Lucchesi presentava l’ordine del giorno votato alla Direzione, ci siamo infiltrati attraverso la marea soffocante alla ricerca di impressioni fra le donne e i lavoratori. Mi ha colpito particolarmente la presenza di decine e decine di vecchie, che con spirito giovanile hanno affrontato il disagio della marcia, a piedi, per decine di chilometri. Le donne di Torniella, che dista 42 chilometri da Ribolla, hanno fatto due tappe addirittura, con pernottamento a Roccastrada.
Da Radi sono venute più di un centinaio capeggiate da una vecchia di 78 anni. Una di loro, Pagliughi Caterina, ci ha detto:
«Ho il marito che lavora nella miniera “Montecatini” da 17 anni, fa l’armatore; siamo decise, se necessario a tornare ancora, così, a piedi come abbiamo fatto oggi».
[…] Gelsomina Pieri ha 75 anni; viene da Sassofortino, 18 chilometri a piedi. Ha in miniera un figlio ed un nipote.
[…] Una giovane, carina e simpatica, Olvas Braglia ha confezionato con le sue compagne una delle bandiere della pace donate ai minatori.
«Siamo decise ad aiutare i minatori fino in fondo, dovesse pur continuare la lotta all’infinito».
Molte sono state le forme di solidarietà concreta che si sviluppano ancora. Sono state sottoscritte 300.000 lire fino ad oggi, e decine e decine di quintali di grano, forti quantitativi di olio, formaggio ed altri generi, sono stati offerti dai contadini, e’ in atto una gara commovente. […]
“Riscossa Democratica”, periodico della federazione provinciale del PCI, n. 15, 23/04/1951
Le ragazze dell’UDI sfilano con la fascia che inneggia alla pace, anni Cinquanta, a.s.
[Archivio della Federazione prov.le del PCI] |
La fiaccolata per la pace, che aveva assunto dimensioni provinciali, era vietata dalle autorità. I Carabinieri avevano ricevuto l’ordine di impedire queste manifestazioni perché, secondo la loro interpretazione, erano “ pericolose ’’ essendo promosse dai ” sovversivi ’’. Invece erano soltanto manifestazioni pacifiche e molti paesi si organizzavano per ricevere la staffetta, che al suo arrivo si concludeva con una fiaccolata nella piazza principale e poi, il giorno successivo, si attivavano per portarla in un’altra località vicina, senza farla mai spegnere, nemmeno di notte, in quanto veniva custodita, nascosta, in qualche casolare isolato, perché le sezioni del Pci, del Psi, della Fgci e della Camere del Lavoro venivano sistematicamente perquisite dai Carabinieri in cerca della fiaccola accesa e vi trovavano solo il buio.
(Testimonianza di Erino Pippi, dicembre 2003, in: www.ribollastory.net] |
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