La memoria delle donne somiglia a certi loro antichi tavolini da lavoro per cucire. |
Ribolla è un villaggio minerario dell’entroterra grossetano, nel comune di Roccastrada, divenuto famoso negli anni Cinquanta per la vitalità del movimento operaio e, più tristemente, il 4 maggio 1954 per il più grave incidente minerario del secondo dopoguerra in Italia, nel quale persero la vita 43 minatori. Come per tutti i villaggi minerari, la storia di Ribolla è la storia della sua miniera.
Ingabbiata negli stereotipi, la parola “miniera” rinvia automaticamente la mente al lavoro e alla fatica dei minatori, ai pericoli che corrono scendendo nel sottosuolo. Ciò che rimanda al femminile nell'immaginario collettivo è la paura del mancato rientro a casa degli uomini. Fior di letteratura e bellissime canzoni rimandano all'attesa o all'immagine della compagna quale angelo del focolare e unica consolazione di una vita grama.
Quasi tutta la saggistica fiorita immediatamente intorno alla tragedia di Ribolla – si pensi al primigenio “I minatori della Maremma” di Luciano Bianciardi e Carlo Cassola - ha narrato "al maschile" lo scoppio della miniera nel 1954. È un processo, quello della “reductio al maschile”, che nel grossetano si è visto, almeno in una prima fase degli studi, anche rispetto alla ricostruzione e alla narrazione dell'altra grande strage di minatori, quella di Niccioleta, villaggio minerario nel Comune di Massa Marittima dove lavoravano gli 83 minatori fucilati dalle SS tedesche e italiane nel giugno del 1944. Se già da tempo il recupero della memoria delle donne di Niccioleta ha restituito complessità a quell'evento, è solo in anni recenti che su due fronti – storico e letterario – sono entrate in campo le voci, la memoria e la storia delle donne di Ribolla: donne lavoratrici, donne impegnate nell'UDI, nel sindacato e nella politica, donne protagoniste di azioni eclatanti ma anche vittime di enormi dolori e sacrifici, alcune di loro anche ridotte per molto tempo al silenzio dagli esiti del processo e dall’assoluzione della Montecatini dalle responsabilità dello scoppio della miniera.
Ingabbiata negli stereotipi, la parola “miniera” rinvia automaticamente la mente al lavoro e alla fatica dei minatori, ai pericoli che corrono scendendo nel sottosuolo. Ciò che rimanda al femminile nell'immaginario collettivo è la paura del mancato rientro a casa degli uomini. Fior di letteratura e bellissime canzoni rimandano all'attesa o all'immagine della compagna quale angelo del focolare e unica consolazione di una vita grama.
Quasi tutta la saggistica fiorita immediatamente intorno alla tragedia di Ribolla – si pensi al primigenio “I minatori della Maremma” di Luciano Bianciardi e Carlo Cassola - ha narrato "al maschile" lo scoppio della miniera nel 1954. È un processo, quello della “reductio al maschile”, che nel grossetano si è visto, almeno in una prima fase degli studi, anche rispetto alla ricostruzione e alla narrazione dell'altra grande strage di minatori, quella di Niccioleta, villaggio minerario nel Comune di Massa Marittima dove lavoravano gli 83 minatori fucilati dalle SS tedesche e italiane nel giugno del 1944. Se già da tempo il recupero della memoria delle donne di Niccioleta ha restituito complessità a quell'evento, è solo in anni recenti che su due fronti – storico e letterario – sono entrate in campo le voci, la memoria e la storia delle donne di Ribolla: donne lavoratrici, donne impegnate nell'UDI, nel sindacato e nella politica, donne protagoniste di azioni eclatanti ma anche vittime di enormi dolori e sacrifici, alcune di loro anche ridotte per molto tempo al silenzio dagli esiti del processo e dall’assoluzione della Montecatini dalle responsabilità dello scoppio della miniera.
Storicamente le donne sono i soggetti “muti” per eccellenza, sia per una ragione oggettiva generalizzata, il “silenzio degli archivi”, per cui non lasciano o lasciano poche tracce documentali del loro agire, sia per una radicata reticenza di molte a raccontarsi e a riconoscere se stesse come protagoniste degli eventi. Ma c’è di più in questa storia: il ricordo dell’attività delle donne a Ribolla negli anni Cinquanta è stato “soffocato” per molto tempo dalla memoria collettiva di un evento che per drammaticità si è imposto rispetto ad altri. Fondamento di una nuova identità sociale del villaggio e oggetto di legittima commemorazione, la tragica morte dei 43 minatori ha steso un velo su altri aspetti della vita di questo piccolo borgo, in primis sull’attività politica e sindacale delle donne. Per riprendere la citazione di Marguerite Yourcenar in apertura, nel caso di Ribolla gli “spilli” sono evidentemente le lacerazioni e le ferite causate all’intera comunità dallo scoppio del grisou; le “matasse imbrogliate” sono un complicato intreccio di relazioni tra familiari delle vittime, partito, sindacato, UDI, Montecatini, in un quadro complesso che oggi, più lucidamente di allora per la distanza dagli eventi, possiamo comprendere nelle sue connessioni e implicazioni con la storia del movimento operaio, delle sue poche vittorie e molte sconfitte in un'Italia da poco uscita dalla guerra e alle soglie del miracolo economico.
Il tentativo di questa mostra on line è di andare oltre quel che si era fatto nel 2007 nel volume "Presenze femminili. 'Le amiche della miniera' di Ribolla" e nella mostra allestita nel 2017 presso la Porta del Parco di Ribolla. In quelle due occasioni si cercò di "far parlare" immagini e documenti affiancandoli a fonti scritte (letteratura, saggistica, materiale d'archivio...) e trascrizioni di fonti orali. E' possibile adesso ascoltare anche le voci delle persone intervistate in occasione della ricerca poi confluita nella pubblicazione del 2007 e aggiungere altro materiale raccolto nel corso degli anni. L'incrocio tra testi, audio e immagini è una scelta e in quanto tale opinabile, frutto di quella combinazione di mediazione e conoscenza, che Giovanni De Luna (2001) indica come caratteristica del lavoro degli storici e che si caratterizza come presenza attiva della loro soggettività all'interno della ricerca, un'ineliminabile intromissione, il "momento nel quale la risonanza emotiva instauratasi tra lo storico e la fonte (condizione necessaria perché ci sia la 'relazione') viene illuminata dal suo progetto intellettuale, dalle chiavi di lettura che lo storico utilizza attingendo al complesso delle sue ipotesi di lavoro e alle proprie capacità di elaborare concetti generali, assume una configurazione che le permette di essere raccontata".